Per Dante
Attraverso Dante

Lettura e commento di canti scelti della Divina Commedia


Il corso si propone di leggere e commentare a lezione quindici canti della Commedia di Dante Alighieri, cinque per cantica (Inferno, Purgatorio, Paradiso). Si raccomanda, naturalmente, la lettura autonoma dell’intero Poema per i necessari confronti e collegamenti intertestuali.
Il Dante che vogliamo avvicinare non vuole essere il Dante-monumento o il Dante-naftalina, intoccabile e inavvicinabile, che molti celebrano in maniera talvolta acritica. Ma neanche il Dante-evento o il Dante-intrattenimento. Un Dante né postmoderno, né esoterico, né asfitticamente accademico. Un Dante da “usare” oggi come fermento per le nostre domande, inquietudini, aspirazioni. Un Dante, per prima cosa, da leggere, studiare, interpretare. Perché senza questo preliminare e fondamentale atto tutto diventa effimero. “Leggilo e rileggilo, – ci ricordava Vittorio Sermonti – e non sarai mai l’identica persona che lo ha letto la penultima volta; per quanto tu te ne ricordi, la tua stessa memoria ti si svelerà non come un patrimonio acquisito una volta per tutte, ma come uno sterminato e rischiosissimo campo di avventure.”
Quindi un corso che susciti la curiosità di leggerne o rileggerne l’opera, che stimoli le studentesse a disconnettersi e a trovare il tempo per un corpo a corpo con il testo dantesco, con la “fatica del concetto” che necessariamente comporta la lettura di un grande classico, con l’attenzione alla profondità della parola della Commedia, provando per un poco a sottrarsi al rumore di fondo che spesso accompagna il discorso sull’Alighieri.
Perché “il grande fiorentino” crea con la Commedia un’opera-mondo, manifestazione compiuta di quell’aspirazione ad una letteratura mondiale di cui parlava Goethe, una letteratura capace di leggere il mondo nella sua “totalità”. Una “totalità”, naturalmente, che va tradotta, interpretata, selezionata. E di cui va indagata anche la ricezione. Perché senza “questa traduzione, il testo non esiste, od è un oggetto, un libro chiuso, un geroglifico muto. La capacità di comprendere è proporzionale alla latitudine della esperienza del lettore, alla sua cultura; perché cultura è insomma anche la possibilità di intendere linguaggi diversi dal proprio particolare e usuale, linguaggi di altri uomini o classi o tempi o nazioni.”. Così scriveva Franco Fortini nel 1946 sul Politecnico presentando le Rime di Dante curate da Gianfranco Contini. E così scriverà nel 1991: “Quando ci si pone la questione se Dante conserva o no il suo mondo per noi dobbiamo chiederci l’inverso: in che misura il nostro mondo può essere, per dir così, dantizzato in qualche modo.” E in questa prospettiva cercheremo anche di individuare in quali autori del Novecento si è generata questa dantizzazione: da Pound a Eliot, da Borges a Osip Mandel’štam, da Derek Walcott a Seamus Heaney, da Pascoli a Montale e Saba, da Luzi, Primo Levi, Fortini a Pasolini, Zanzotto, Giudici e tanti altri ancora.
La lettura dei testi, l’interpretazione come esercizio critico dell’immaginazione, con il conseguente commento storico-critico, tenterà di consolidare tre capacità di cui parla il critico Romano Luperini: “la capacità cognitiva, come allargamento e approfondimento delle conoscenze specifiche della disciplina e delle conoscenze linguistiche e culturali che si ottengono dalla fitta rete di interferenze che presiede all’atto della lettura e dell’interpretazione; la capacità immaginativa, come arricchimento esistenziale, emotivo e culturale prodotto dal contatto con quel grande serbatoio dell’immaginario che è la letteratura; la capacità critica, come educazione alla complessità e alla problematicità del momento ermeneutico, alla parzialità e al carattere interdialogico di ogni verità e alla dialettica democratica del conflitto delle interpretazioni. Queste tre capacità delineano altrettanti obiettivi formativi”.
Numerosi studiosi e educatori – Dewey, Bruner, Gardner, ma anche, nel nostro paese, Malaguzzi, Lodi, Rodari – hanno più volte sostenuto la centralità dell’educazione artistica nei processi di apprendimento. Va quindi sottolineata l’importanza che ha lo studio della poesia per il potenziamento di quelle qualità che sono alla base di ogni autentica relazione educativa: l’ascolto, la profondità, l’attenzione, la capacità critica, la creatività. La poesia, in particolare, fa ricorso ad un linguaggio volutamente ambiguo, fondato su una molteplicità di significati, su una ricchezza semantica capace di scardinare il piatto conformismo di tanta comunicazione presente nel parlare quotidiano, nei libri, nei media, nella rete.
La lettura della poesia dantesca diventa così anche una palestra di educazione linguistica per arricchire e approfondire la nostra capacità comunicativa. Come ha scritto un educatore di frontiera, don Roberto Sardelli, “i veri maestri non sono coloro che rendono facile lo studio, ma coloro che lo rendono difficile.” E Dante, da questo punto di vista, è senz’altro un vero maestro di complessità e profondità, di imprevedibilità stilistica e concettuale.
Nella lettura dei testi verrà considerato il loro utilizzo nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria, attraverso la lettura ad alta voce e la presentazione da parte delle studentesse e degli studenti di possibili percorsi didattici. Con l’avvertenza, tuttavia, che tale finalizzazione didattica non può essere l’approccio esclusivo con cui ci si avvicina ad un’opera.
Lo studio della letteratura, il godimento estetico e conoscitivo che deriva dalla lettura di un testo letterario, la capacità di commuoversi di fronte al bello, sono beni in sé, presuppongono un atteggiamento disinteressato verso il sapere, nel tentativo di sollecitare lo sviluppo di una curiosità critica e creativa verso il mondo. Si studia per arricchire se stessi in quanto donne e uomini, cittadine e cittadini e insieme, anche, in quanto educatrici e educatori, maestre e maestri, formatrici e formatori. Anche perché è possibile costruire itinerari didattici innovativi e stimolanti per gli alunni solo se si conoscono a fondo gli autori che si vogliono utilizzare, solo se si penetra con consapevole profondità verticale nella ricchezza polisemica di un testo letterario.
Come scrisse Italo Calvino a proposito dei classici della letteratura mondiale, “non si creda che i classici vanno letti perché “servono” a qualcosa. La sola ragione che si può addurre è che leggere i classici è meglio che non leggere i classici. E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran […]: “mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. “A cosa ti servirà?” gli fu chiesto. “A sapere quest’aria prima di morire”.